Comunicazione
EARLY BIRD 10% per iscrizioni ai Master Universitari e Corsi Executive in partenza nei prossimi mesi
Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design presentano “Design Economy 2022”, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza del valore del design per la competitività del sistema produttivo nazionale.
Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design, con il supporto di ADI, CUID, Comieco, Logotel, AlmaLaurea e il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, hanno presentato oggi, 20 aprile 2022, i risultati del report “Design Economy 2022”, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza del valore del design per la competitività del sistema produttivo nazionale. Il rapporto è stato presentato presso l’ADI Design Museum di Milano da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola; Ernesto Lanzillo, Deloitte Private Leader; Francesco Zurlo, presidente POLI.design e preside Scuola del Design; Luciano Galimberti, presidente ADI; Maria Porro, presidente del Salone del Mobile; Domenico Sturabotti, direttore Fondazione Symbola; Carlo Montalbetti, direttore Generale Comieco; Loreto Di Rienzo, Co-Fondatore Gruppo Dyloan; Cristina Favini, Chief Design officer & strategist Logotel; Antonio Casu, Ceo Italdesign Giugiaro.
Da quanto emerge l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di imprese in ambito design (30 mila), che offrono occupazione a 61 mila lavoratori e generano un valore aggiunto pari a 2,5 mld di euro, e Milano si conferma capitale del design con il 18% del valore aggiunto e conta il 14% degli addetti in Italia. Il 57% delle imprese del design nella progettazione integra aspetti legati alla durabilità dei prodotti, il 43,4% alla riduzione materica, il 34% alla riciclabilità e il 31,4% alla riparabilità. Arredamento, automotive, immobiliare, abbigliamento trainano la domanda di ecodesign in Italia.
“A fronte di potenti fenomeni di cambiamento in atto – ha dichiarato Francesco Zurlo, presidente POLI.design e preside Scuola del Design – dalla crisi climatica alla trasformazione digitale, al difficile contesto geopolitico, il design – che è la pratica di un operatore intellettuale – sembra essere più attrezzato di altre discipline e professioni nel governare la complessità. Il successo della formazione e del placement dei designer, come evidente nel report della Fondazione, sottolinea questo aspetto. Un buon designer ha l’imperativo della responsabilità ogniqualvolta modifica tecnologie grezze per realizzare nuovi artefatti, confrontandosi con il ruolo dell’innovazione tra sapere, potere e suo uso. È inoltre disciplina che si confronta per natura con l’incertezza, condizione evidente e condivisa della contemporaneità. Il modello mentale che acquisisce un laureato in design lo pone costantemente di fronte a situazioni inattese e scelte conseguenti: è un allenamento all’incertezza e alla complessità che richiede contaminazione tra saperi e l’educazione di agenti, come spesso i designer, che operano come ponte tra discipline e conoscenze”.
Il sistema formativo è un sistema distribuito lungo tutto il Paese, ben 81 istituti accreditati dal Ministero dell’Istruzione: 22 Università, 16 Accademie delle Belle Arti, 15 Accademie Legalmente Riconosciute, 22 Istituti privati autorizzati a rilasciare titoli AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) e 6 ISIA (Istituti Superiori per Industrie Artistiche). Per un totale di 291 corsi di studio, distribuiti in vari livelli formativi e in diverse aree di specializzazione. Ne fanno parte punte di eccellenza come il Politecnico di Milano, prima tra i Paesi UE e 5° al mondo secondo la prestigiosa classifica QS World University Rankings by Subject nel settore del design, ma prima, comunque, fra le università pubbliche. A seguire, mantengono un importante ruolo per la formazione del designer l’Istituto Europeo di Design (IED) e la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA). Complessivamente, i designer formati sono 9.362; di questi, due terzi risiedono al Nord, in particolare in Lombardia (49,8%). Da quest’anno grazie alla collaborazione con Almalaurea e il Career Service del Politecnico di Milano si è aggiunto un ulteriore tassello informativo relativo alla situazione lavorativa a cinque anni dalla laurea e a cinque anni dal nostro primo rapporto sul design. La prima stima sul tasso di occupazione dei laureati magistrali in design a cinque anni restituisce un valore del 90%, superiore alla media del complesso dei laureati magistrali biennali in Italia; di questi, l’84% svolge una professione coerente con l’ambito del design.
Sono passati cinquanta anni dalla mostra The New Domestic Landscape al MoMA di New York, curata da Emilio Ambasz. La mostra, pietra miliare nella storia del made in Italy aveva in catalogo opere di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Cesare Paolini, Mario Bellini, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Alberto Rosselli, Marco Zanuso e Richard Sapper, Archizoom, Superstudio, Ugo La Pietra, Gruppo Strum e 9999. Designer che ebbero un impatto notevole sulla modernità, coniugando bellezza, empatia, utilità e industria. Era nato il design italiano.
Cinquant’anni dopo, nel pieno di una transizione ecologica e digitale, accelerata dalla pandemia, il design, anche quello italiano, è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, cambieranno, dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, arrivando ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, ricondizionabili, riutilizzabili.
Anche per questo è importante l’osservazione quantitativa e qualitativa sul settore del design che ogni anno Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design realizzano in collaborazione con ADI- Associazione per il Disegno Industriale, Logotel, CUID, Comieco
e AlmaLaurea.
I dati e le analisi presentate nel report raccontano un settore che ha punti di forza nel sistema di attori in campo, nella presenza capillare sul territorio, nel ricco sistema formativo, ma raccontano anche fragilità e nuovi bisogni, per esempio formativi, per aggiornare e rendere più efficaci e adeguati gli strumenti del design alle nuove sfide. Il settore è infatti chiamato ad accompagnare le imprese italiane ad ampliare la prospettiva dal cliente alle comunità, ai territori all’ambiente, con implicazioni profonde nelle decisioni imprenditoriali: dalla scelta dei materiali, fino alla ridefinizione delle supply chain. Insomma, una situazione per molti versi analoga a quella che negli anni Settanta un nutrito gruppo di giovani designer italiani di talento seppero declinare, e che oggi chiama le energie migliori del Paese a pensare a nuovo futuro a misura d’uomo e di ambiente.